“La mente è una cosa meravigliosa. Inizia a lavorare nel momento in cui nasci e non si ferma mai finché non devi parlare in pubblico”.
Le sagaci parole di John Mason Brown, autore e giornalista americano del secolo scorso, sottolineano le difficoltà di approcciare un discorso in pubblico senza tecniche e strategie giuste.
Ma voglio fare una premessa: se non sai parlare in pubblico, non è colpa tua!
Nessuno ti ha insegnato a farlo. Nelle scuole italiane non se ne parla neanche, mentre in alcune scuole anglosassoni è materia d’insegnamento.
E così mentre cresciamo e le nostre esperienze di recite diventano traumi che ci segneranno per la vita, nessuno ha la minima idea che si possa effettivamente fare qualcosa di semplice e potente per darci le basi di questa capacità utile in mille occasioni per il resto della nostra vita.
Anche se adesso adoro parlare in pubblico, prima ne ero abbastanza (molto…) spaventato.
La mia prima volta… sapevo tutto l’essenziale sul da farsi, avevo seguito corsi sul parlare in pubblico e su tanto altro, studiato tutti o quasi i testi allora presenti in libreria sull’argomento.
Ero concentrato sulle mie sensazioni interne, paure di fare brutta figura e di far fare brutta figura a chi mi aveva dato questa possibilità. In effetti, il risultato è stato quasi catastrofico.
E non è stata solo la prima volta terrificante ma anche la seconda, ma un po’ meno. E la terza meno ancora…stavo imparando.
Mi ha sempre incoraggiato questa frase del grande Ralph Waldo Emerson: “Tutti i grandi oratori furono all’inizio pessimi parlatori”. Spero faccia lo stesso effetto a te.
Partiamo dunque alla scoperta del segreto degli oratori eccellenti e degli errori più gravi commessi in questo campo.
La maggior parte degli oratori – o pseudo tali – si focalizza sul lanciare il proprio messaggio senza preoccuparsi di cosa sia effettivamente arrivato e di come l’uditorio risponda, man mano, a ciò che si dice e si fa.
Il loro focus e la loro attenzione sono rivolti solo verso l’interno di se stessi.
Ecco 7 indizi di rigidità e focus verso se stessi invece che verso l’uditorio:
- si inizia a parlare e si va avanti a lungo, incuranti di cosa accade in sala
- non si tiene conto di chi si ha di fronte
- si usa un linguaggio troppo tecnico oppure troppo elementare, troppo serio o troppo informale
- ci si preoccupa di seguire il programma, qualsiasi cosa accada, proprio come succedeva a scuola verso la fine dell’anno
- ci si focalizza solo sul proprio stato d’animo e non su quello dell’uditorio
- si ignorano gli imprevisti
- si fanno poche domande e non si interagisce
Insomma ci si lancia a parlare senza tener conto che tutto ciò che accade dall’inizio del discorso influenza il suo proseguimento e la sua riuscita.
Per queste persone, il modello utilizzato è: fare qualcosa e, se non funziona o funziona poco, farla di più!
I grandi professionisti invece rivolgono costantemente l’attenzione – anche – agli interlocutori, oltre che a se stessi.
Il loro focus e la loro attenzione sono rivolti sia verso se stessi sia verso l’esterno.
L’oratore eccellente monitora costantemente gli effetti del proprio discorso sul pubblico, in modo da poter apportare immediatamente tutte quelle modifiche funzionali al raggiungimento del proprio obiettivo.
Nello specifico:
- Acuità sensoriale: sviluppare i propri sensi per percepire a livello emotivo il clima della sala, per ascoltare ciò che si dice, per osservare ciò che accade
- Continua calibrazione: è l’attenta osservazione della comunicazione non verbale e ti permette di avere un feedback continuo ovvero un responso in tempo reale degli effetti del tuo intervento
- Ricalco e Guida: adeguamento a quello che accade e alla risposta dell’uditorio ai tuoi messaggi, per ricondurre, guidare, all’obiettivo prefisso.
Tutto questo implica sviluppare la flessibilità necessaria per adattare il tuo comportamento al responso (feedback) che ottieni e permette di creare e mantenere un continuo stato di “rapport”, empatia, con i partecipanti.
Perciò, parlare eccellentemente in pubblico, dal mio punto di vista, significa decidere continui impercettibili cambiamenti di rotta del tuo intervento, o magari grandi e vistosi, per esempio:
- variare il ritmo della tua voce quando serve;
- inglobare un imprevisto e commentarlo insieme a loro;
- tagliare una parte se stai “andando lungo” (a guardare in giro, pare sia una delle cose più difficili da fare ed allo stesso tempo uno degli errori più stupidi e frequenti);
- aggiungere qualcosa se stai “andando corto”;
- inserire una storia se l’attenzione sta calando;
- e molto, molto altro ancora;
Per queste persone, il modello utilizzato è: fare qualcosa e, se non funziona o funziona poco, variare.
Lavorare in questa maniera, nei miei corsi aperti al pubblico o quando faccio formazione in azienda, mi permette di far passare molto più facilmente i messaggi, di avere poca o nessuna resistenza e, sostanzialmente, di rendere l’esperienza più produttiva per la crescita personale e professionale dei partecipanti e impattante per le loro vite. E anche per la mia naturalmente.
Per facilitare questo processo è fondamentale la preparazione.
Quanto più sei preparato a fare qualcosa, con tanta più sicurezza sei in grado di eseguirla “in automatico”, tanto più puoi spostare il focus all’esterno per osservare e percepire ciò che sta accadendo. Questo ti permette di adeguarti – ricalcare – e guidare ‘per mano’ agli obiettivi prefissi.
Il rapporto empatico continuo nasce da osservazione continua,
che puoi permetterti solo grazie ad una preparazione continua.
In altri termini: Quando sei ben preparato sul contenuto, puoi concentrarti sulla forma dell’esposizione.
Le 2 domande chiave che possono supportarti nel tenere orientato il focus anche all’esterno (oltre che sul tuo stato) e che vuoi farti spesso, sono:
“Che penserei io – in questo momento – se fossi al loro posto?”
O anche: “Come mi sentirei io al posto loro in questo momento?”, “In che stato sarei?”.
Prendi in considerazione aspetti ambientali (temperatura, luce, spazio, colori, ecc), lo stato d’animo (perplessità, stanchezza, scetticismo…) e tutto ciò che ti viene in mente.
Con l’osservazione continua, puoi metterti continuamente nei panni dell’uditorio e comprendere qualsiasi clima che abbia bisogno di essere guidato verso una direzione diversa (tecnicamente, qualsiasi “stato”, ma ne parlerò in seguito). E puoi anche intuire se ci sono singole criticità su cui intervenire prima che esplodano.
Quando fai questo, l’empatia è immediata e sul lungo (se avrai più di un paio d’ore) si trasforma in fiducia.
E infine un avvertimento (in stile mafioso): come scrivevo nel 2013 nel mio libro sul parlare in pubblico “Public Speaking per tutti”:
“Tu sei il mezzo principale per trasmettere il messaggio, non sei l’oggetto dell’intervento.
Non devi fare presentazioni belle, no. Devono essere efficaci, utili, portare i risultati che vuoi.
Se vuoi essere al centro dell’attenzione, amato e considerato, prenditi un cagnolino.
In alternativa, vai in analisi. In ogni caso, anche sul palco, levati di mezzo e lascia che il messaggio sia più importante di te”.
E con questo è tutto.
Fammi sapere cosa ne pensi di questo articolo, lasciandomi un commento qui sotto 🙂